È finalmente giunto il momento: dopo un anno, esce il nuovo numero di Ecrasez l’Infame. La novità è che oltre che nell’album di questo blog, potrete scaricarlo anche dal sito internet del giornale. Lì troverete, comodamente, i numeri vecchi ed il nuovo. Certo la grafica è un po’ abbozzata, ma è funzionale ed in tempi di web 2.0, ricordarsi che si può mettere del contenuto in internet, in soli due minuti, senza smazzarsi troppo, non è un male.
Ad ogni modo, da domani ci troverete a distribuire le copie stampate per Villa Mirafiori e chissà dove altro.
Quello che segue è l’editoriale, firmato Didimo Chierico & Eugene Axe. Ovviamente, nel giornale troverete moltissima altra roba; buona lettura:
La posta in gioco
Ecrasez l’Infame ritorna,
dopo lunga assenza.. una fin troppo lunga assenza se si pensa alle
tante piccole e grandi infamità che meritavano di essere schiacciate
nel corso di questi mesi. Siamo convinti tuttavia, che la nostra
assenza non vi avrà persuaso che gli infami sono in ritirata
strategica, li vedete benissimo anche da soli infatti. Ma a questo
punto sorge un problema ed un problema importante, fra le varie
infamità sopra citate quale scegliere per questo editoriale d’apertura?
Molte questioni meriterebbero e questo numero cercherà di trattarne il
più possibile, ma riteniamo sicuramente che prima di tutto noi si debba
parlare di noi: di noi studenti.
C’è una riforma che infatti incombe su di noi, un progetto per ora, ma un progetto mostruoso.
Si
tratta della riforma più radicale del sistema universitario da qui a
vent’anni almeno, un vero e proprio stravolgimento delle sue
strutture e dell’attività di chi fa vivere questa istituzione.
Occorre
dire prima di tutto che essa ovviamente non viene dal nulla, la
tendenza che la ispira è la stessa che dalla fine degli anni ’80 almeno
è incarnata da tutte le riforme che si sono succedute (e non solo in
italia), ma è certo che con il ddl Gelmini tale tendenza si rivela
nella sua forma più radicale e definitiva.
L’idea è quella di
ridurre progressivamente i fondi statali ed indirizzare i finanziamenti
alle università ritenute "meritevoli" (in base a criteri di pareggio di
bilancio), con la finalità di creare poli d’eccellenza, prestigiosi e
cari, impegnati nella formazione di elementi altamente qualificati,
permettendo (o meglio imponendo) alle altre di trasformarsi in
fondazioni di diritto privato, comunque destinate a produrre forza
lavoro di medio basso livello. Con l’abolizione del valore legale del
titolo di studio, tale stratificazione sarà poi definitivamente sancita
(tenendo poi anche presente che la laurea non è più l’unico titolo di
studio superiore possibile).
Fine dell’università di massa insomma? No, il disegno è evidentemente diverso e non si tratta solo di sfumature.
La
conquista dell’università di massa alla fine degli anni ’60, è
certamente stata parte di uno sconvolgimento profondo della società
italiana nel suo complesso. Il libero accesso all’università di grandi
masse fino a quel momento escluse, ha sancito la fine di quella sorta
di istituzione castale chiusa che era l’accademia borghese, volta
all’eterna riproduzione dei privilegi della classe dominante. Che poi
tale apertura non abbia in effetti condotto ad una reale mobilità
sociale è altra questione, in questo luogo ci interessa (come
detto) tentare di mettere in luce tendenze contrapposte. E’ più che
evidente in ogni caso, che tale mutamento, insieme al violento
antagonismo espresso dal mondo operaio, hanno certamente imposto al
"Sistema" nel suo complesso, una ristrutturazione complessiva, che gli
permettesse di perpetuarsi nonostante le mutate condizioni sociali. Il
crescente peso assunto dall’economia terziarizzata, è proprio figlio di
tale risposta e con esso le riforme precarizzanti del mercato del
lavoro. In tale frangente, perciò, un’università legata ad un altro
contesto produttivo, non poteva che apparire ai tecnocrati di tutta
Europa, come vetusta ed insostenibile. Ed è
inoltre ormai considerato socialmente inutile ed economicamente
incoerente, persino da molti professori, mantenere un sistema
d’istruzione che, bene o male, si pensi come luogo di studio e crescita
personale anche fine a se stessa. il riscatto sociale, insito
nell’apertura di massa all’università, non si limitava nelle menti di
coloro che quell’apertura imposero, solo al livello economico, ma
soprattutto conteneva la possibilità di emancipazione culturale e
intellettuale senza la quale le classi lavoratrici sono condannate alla
supina sottomissione, indipendentemente dal grado di specializzazione.
Come riformare l’università quindi? Sopratutto
nel senso di rendere essa stessa produttiva nell’immediato,
nell’imporle la forma di impresa, di un’impresa impegnata nella
produzione sia di forza lavoro, ma anche dei suoi modi di vita, della
sua condotta?
Non è più possibile incentrare la produzione sulla grande industria? Ed è anacronistico prospettare al cittadino comunitario un ruolo da
manodopera di massa per la grande fabbrica? Allora la grande
fabbrica si ristruttura e la disciplina di fabbrica si diffonde in ogni
ambito della vita sociale: così si è produttivi al giorno d’oggi. In
secondo luogo inoltre la società nel suo complesso assume financo le
stratificazioni proprie della grande fabbrica di una volta ed il suo
sistema di sfruttamento si generalizza. Non si tratta quindi di
escludere qualcuno, ma di capitalizzare invece la massa impegnata nella
produzione intellettuale. Ma come in tutte le buone mitologie di
fabbrica, non manca mai il buon Stakanov e chi vorrà lavorare più degli
altri, scegliere di non vivere o non dormire (per necessità o
ambizione), ha la promessa che (pompa cardiaca permettendo) potrà
ascendere anche lui all’elisee sfere della società. Promessa quasi
sempre fasulla, inutile dirlo, ma che sbandierando due o tre "eroi" per
volta (Obama compreso), può con miracolosa efficacia indurre ad un auto–assoggettamento di massa, fondato sul furto di diritti e tempi di vita, nonchè su un’infinita capacità di ricatto del Capitale.
Et voilà! Ecco il quadro… ma non ci sarà mica tutta questa roba dentro questa riforma???
Diremmo
proprio di sì, o meglio si può dire che con questa riforma cade
finalmente il velo e si scopre la posta che da vent’anni è messa sul
tavolo quando si discute di riforme universitarie.
Pensateci un pò..
non sarà forse quella che ne verrà fuori, un’università fondata
sulla disumanità dei tempi di studio, sul ricatto economico per
accaparrarsi qualifiche più "elevate"in università prestigiose, in
sostanza su un "o ti pieghi o ti spezzo"? E
Coloro che si approcciano solo oggi al mondo dell’università, e che si
illudono di esercitare il loro diritto allo studio, non dovranno ben
presto rendersi conto che questo loro diritto è stato snaturato e
trasformato nell’obbligo alla prestazione? Nella partecipazione ad una
miserabile corsa al risultato?
A noi pare proprio di sì e ci
sembra che questi siano i termini del conflitto da mettere in campo
subito per fermare questo orrore.
dopo lunga assenza.. una fin troppo lunga assenza se si pensa alle
tante piccole e grandi infamità che meritavano di essere schiacciate
nel corso di questi mesi. Siamo convinti tuttavia, che la nostra
assenza non vi avrà persuaso che gli infami sono in ritirata
strategica, li vedete benissimo anche da soli infatti. Ma a questo
punto sorge un problema ed un problema importante, fra le varie
infamità sopra citate quale scegliere per questo editoriale d’apertura?
Molte questioni meriterebbero e questo numero cercherà di trattarne il
più possibile, ma riteniamo sicuramente che prima di tutto noi si debba
parlare di noi: di noi studenti.
C’è una riforma che infatti incombe su di noi, un progetto per ora, ma un progetto mostruoso.
Si
tratta della riforma più radicale del sistema universitario da qui a
vent’anni almeno, un vero e proprio stravolgimento delle sue
strutture e dell’attività di chi fa vivere questa istituzione.
Occorre
dire prima di tutto che essa ovviamente non viene dal nulla, la
tendenza che la ispira è la stessa che dalla fine degli anni ’80 almeno
è incarnata da tutte le riforme che si sono succedute (e non solo in
italia), ma è certo che con il ddl Gelmini tale tendenza si rivela
nella sua forma più radicale e definitiva.
L’idea è quella di
ridurre progressivamente i fondi statali ed indirizzare i finanziamenti
alle università ritenute "meritevoli" (in base a criteri di pareggio di
bilancio), con la finalità di creare poli d’eccellenza, prestigiosi e
cari, impegnati nella formazione di elementi altamente qualificati,
permettendo (o meglio imponendo) alle altre di trasformarsi in
fondazioni di diritto privato, comunque destinate a produrre forza
lavoro di medio basso livello. Con l’abolizione del valore legale del
titolo di studio, tale stratificazione sarà poi definitivamente sancita
(tenendo poi anche presente che la laurea non è più l’unico titolo di
studio superiore possibile).
Fine dell’università di massa insomma? No, il disegno è evidentemente diverso e non si tratta solo di sfumature.
La
conquista dell’università di massa alla fine degli anni ’60, è
certamente stata parte di uno sconvolgimento profondo della società
italiana nel suo complesso. Il libero accesso all’università di grandi
masse fino a quel momento escluse, ha sancito la fine di quella sorta
di istituzione castale chiusa che era l’accademia borghese, volta
all’eterna riproduzione dei privilegi della classe dominante. Che poi
tale apertura non abbia in effetti condotto ad una reale mobilità
sociale è altra questione, in questo luogo ci interessa (come
detto) tentare di mettere in luce tendenze contrapposte. E’ più che
evidente in ogni caso, che tale mutamento, insieme al violento
antagonismo espresso dal mondo operaio, hanno certamente imposto al
"Sistema" nel suo complesso, una ristrutturazione complessiva, che gli
permettesse di perpetuarsi nonostante le mutate condizioni sociali. Il
crescente peso assunto dall’economia terziarizzata, è proprio figlio di
tale risposta e con esso le riforme precarizzanti del mercato del
lavoro. In tale frangente, perciò, un’università legata ad un altro
contesto produttivo, non poteva che apparire ai tecnocrati di tutta
Europa, come vetusta ed insostenibile. Ed è
inoltre ormai considerato socialmente inutile ed economicamente
incoerente, persino da molti professori, mantenere un sistema
d’istruzione che, bene o male, si pensi come luogo di studio e crescita
personale anche fine a se stessa. il riscatto sociale, insito
nell’apertura di massa all’università, non si limitava nelle menti di
coloro che quell’apertura imposero, solo al livello economico, ma
soprattutto conteneva la possibilità di emancipazione culturale e
intellettuale senza la quale le classi lavoratrici sono condannate alla
supina sottomissione, indipendentemente dal grado di specializzazione.
Come riformare l’università quindi? Sopratutto
nel senso di rendere essa stessa produttiva nell’immediato,
nell’imporle la forma di impresa, di un’impresa impegnata nella
produzione sia di forza lavoro, ma anche dei suoi modi di vita, della
sua condotta?
Non è più possibile incentrare la produzione sulla grande industria? Ed è anacronistico prospettare al cittadino comunitario un ruolo da
manodopera di massa per la grande fabbrica? Allora la grande
fabbrica si ristruttura e la disciplina di fabbrica si diffonde in ogni
ambito della vita sociale: così si è produttivi al giorno d’oggi. In
secondo luogo inoltre la società nel suo complesso assume financo le
stratificazioni proprie della grande fabbrica di una volta ed il suo
sistema di sfruttamento si generalizza. Non si tratta quindi di
escludere qualcuno, ma di capitalizzare invece la massa impegnata nella
produzione intellettuale. Ma come in tutte le buone mitologie di
fabbrica, non manca mai il buon Stakanov e chi vorrà lavorare più degli
altri, scegliere di non vivere o non dormire (per necessità o
ambizione), ha la promessa che (pompa cardiaca permettendo) potrà
ascendere anche lui all’elisee sfere della società. Promessa quasi
sempre fasulla, inutile dirlo, ma che sbandierando due o tre "eroi" per
volta (Obama compreso), può con miracolosa efficacia indurre ad un auto–assoggettamento di massa, fondato sul furto di diritti e tempi di vita, nonchè su un’infinita capacità di ricatto del Capitale.
Et voilà! Ecco il quadro… ma non ci sarà mica tutta questa roba dentro questa riforma???
Diremmo
proprio di sì, o meglio si può dire che con questa riforma cade
finalmente il velo e si scopre la posta che da vent’anni è messa sul
tavolo quando si discute di riforme universitarie.
Pensateci un pò..
non sarà forse quella che ne verrà fuori, un’università fondata
sulla disumanità dei tempi di studio, sul ricatto economico per
accaparrarsi qualifiche più "elevate"in università prestigiose, in
sostanza su un "o ti pieghi o ti spezzo"? E
Coloro che si approcciano solo oggi al mondo dell’università, e che si
illudono di esercitare il loro diritto allo studio, non dovranno ben
presto rendersi conto che questo loro diritto è stato snaturato e
trasformato nell’obbligo alla prestazione? Nella partecipazione ad una
miserabile corsa al risultato?
A noi pare proprio di sì e ci
sembra che questi siano i termini del conflitto da mettere in campo
subito per fermare questo orrore.